Sulle strade della Bulgaria (parte 1)

 

Mi ricordo la sensazione appena sveglio nel piccolo hotel fuori la cattedrale di Sofia. Stavo vivendo la solita eccitazione che da la scoperta di un posto nuovo. L’esplorazione. La sorpresa o, almeno, l’attesa della sorpresa. Il programma lo avevo chiaro in mente, ma spesso è la distanza che separa un luogo e un altro che regala qualcosa di inaspettato, e questa era decisamente la mia sensazione. 

“Noi drogati di partenze” diceva Terzani. 

 

 

In questo primo giorno su strada, Etar e Veliko Tarnovo erano le due tappe principali del programma, il resto si sarebbe aggiunto se avessi avuto modo, tempo ed ispirazione.

Il primo, una sorta di museo all’aperto “allestito” poco fuori Gabrovo, sul corso di un torrente. Si tratta di una sorta di parco giochi etnografico sulla Bulgaria rurale, dove è stato ricostruito un paese con case rurali che, altrimenti, sarebbero state demolite per far spazio a nuove costruzioni.

All’atto pratico nulla di ché, un paese che si dichiara “finto” fin dal primo impatto; una sorta di parco giochi per adulti e bambini e che, con addosso questa consapevolezza, non me lo fa gustare a pieno.

 

 

Riparto pensando di far tappa in un monastero poco distante, ma ho rinunciato. Voglio dedicare un po’ di tempo all’antica capitale degli Zar bulgari: Veliko Tarnovo. Me la fa preferire la posizione scenografica su un’ansa del fiume Yantra, nient’altro. Non so di preciso cosa nasconda questa piccola cittadina subito a nord dei Balcani centrali, ma voglio prendere questo viaggio con calma, camminare e vedere qualcosa oltre i monumenti.

 

 

La prima scoperta che mi si para davanti è la fortezza di Tsarevets, circondata da mura possenti, domina dall’alto una “penisola” di roccia che il canyon del fiume rende poco accessibile da ogni lato. Una fortezza naturale dove l’uomo ha solo aggiunto quel poco di cui aveva bisogno per farne un punto di difesa strategico: torri e fortificazioni.

 

La camminata per il centro, senza una meta precisa, mi fa scoprire vie piene di negozi e gallerie d’arte, un posto vivo di persone e vivace di situazioni. Mi perdo nei vicoli tra saliscendi e cammini spezzati da curve improvvise. Questo paese, dall’alto, deve assomigliare ad un puzzle.

 


Sposto il mio interesse sulla chiesa di Sant’ Nicolay, nella parte alta del centro storico. Il quartiere è un intricato groviglio di vicoli e la chiesa sembra quasi nascosta tra i palazzi. Il campanile è completamente scollegato dal corpo centrale, un assetto atipico per un edificio religioso, ma la chiesa è comunque spettacolare nella sua semplicità.

 

 

Delle porte a vetro scorticate separano l’ampio vestibolo dalla chiesa principale. Un semplice pavimento in pietra consumata con tanto di effigi ormai cancellate, fa da umile passerella d’ingresso ad una piccola chiesa colma dei “soliti” colori accesi delle decorazioni ortodosse. 

A completare il quadro mistico c’è la calda luce del tramonto che entra dalle numerose finestre che circondano l’edificio su tre lati. All’interno il barbuto prete ortodosso che officia il rito per una sola credente…

 

 

 

Si fa buio, è già tardo pomeriggio. Riparto verso nord con l’intenzione di dormire il più vicino possibile alla (amata) Romania. Arrivo a Ruse giusto per cena e, dalla finestra dell’albergo, guardo il buio che mi separa dal il confine tra la Bulgaria e la Romania; in quel buio c’è il Danubio.

 

 

Il risveglio avviene alle prime luci dell’alba, mi affaccio curioso per vedere sua Maestà. Lo ammetto, ho un rapporto morboso con questo fiume: l’ho incontrato per la prima volta a Budapest quando avevo 21 anni. C’ho ballato sopra mentre stavo a Bratislava. C’ho bevuto una birra insieme sulle rive di Eztergom. C’ho fatto colazione sulla strada verso l’Ungheria remota (con dei biscotti “rubati” in albergo). A Budapest, diversi anni dopo la prima volta, c’ho buttato dentro un sasso rosa. 

Ora lo osservo all’alba di dicembre mentre, non distante da qui, si appresta a mescolare le sue acque torbide con il Mar Nero, che ancora immagino scuro come la pece…. A breve, però, nella serata di questo giorno, scoprirò che non è così.

 

Lo scorrere placido del fiume alle prime luci del sole mi mette a contatto con un mondo alieno. La Bulgaria, d’accordo. Fino a due giorni fa stavo nella capitale, ma qui, alla periferia di tutto, mi sento nuovo ogni volta che il mio sguardo si tuffa fuori dalla finestra.

Colazione con aringhe e yogurt e subito in strada ad assaporare la prima (seconda?!) delusione del viaggio. Le chiese rupestri di Ivanovo sono aperte solo su prenotazione! E dire che mi ero pure documentato, ma non avevo trovato notizie in merito…. Pazienza. 

 

 

La valle e la parete rocciosa su cui sono state ricavate è silenziosa alle prime luci del sole e l’aria serena mi fa comunque apprezzare la strada fatta. Faccio due passi sul sentiero fino alla prima chiesa, giusto per salire un po’ di quota e godermi un po’ il paesaggio. Ero alla ricerca, qui in Bulgaria, di un pezzo di Cappadocia o forse di Matera. Niente da fare… Sarà per un’altra volta.

 


 In questa parte del paese, nel nord ovest della Bulgaria, di traffico ce n’è davvero poco e la presenza di turisti è nulla. Si attraversano villaggi che esercitano un’attrattiva bassa su chi, passando qui per caso, cerchi uno spunto per fermarsi. 

Ma il fascino dei luoghi isolati c’è sempre. Poche case ammassate e spesso malandate. Cortili carichi di cianfrusaglie, tanto da sembrare il retrobottega di un rigattiere, colorano le facciate altrimenti consunte.

Riparto con calma alla volta di Madara dove DEVO andare a vedere uno dei siti patrimonio Unesco che ho messo in lista. Si tratta di un bassorilievo che celebra un Khan della tribù nomade dei Bolgari dopo un trionfo militare. L’epoca della realizzazione è individuata intorno al 700 d.C.

Altre teorie, invece, indicano nell’oggetto del rilievo un Dio dei Traci… La datazione, però, sarebbe per forza precedente.

 

 

La particolarità del bassorilievo è dovuta al fatto che sia scolpito in una posizione molto strana: a oltre 20 metri d’altezza su una parete rocciosa. In questo parco, in cui trovano spazio numerose grotte, le prime testimonianze di vita risalgono alla preistoria. Non manca la “solita” cappella ortodossa ad esibire icone dai colori accesi ed un teatro naturale con un’acustica incredibile. In estate viene trasformato in una sala da concerti all’aperto.

 

 

 

È ormai sera, è il 31 dicembre. L’arrivo a Varna, dove ho programmato di superare l’anno, avviene ad un’ora che mi concede l’ultimo aperitivo del 2023, ma prima voglio toccare il Mar Nero.

Dopo un’occhiata alla cartina mi dirigo verso il mare, un po’ a caso, mi piace perdermi in un posto nuovo. Serve per prendere un po’ di “contatto” con la città in cui sono appena sbarcato.

L’acqua appare scura, scura come la pece, ma le piccole onde che si infrangono sulla spiaggia sabbiosa hanno un suono morbido, rilassante. Forse questo Mar Nero non è così lugubre.

 

 

Il centro di Varna non da grandi spunti per una visita approfondita, eccezion fatta per le rovine delle terme romane (anche qui ritrovo i “miei” reperti romani!) e, essendo il 31 dicembre, i negozi hanno chiuso presto. 

 


 Non c’è un’anima in giro e gli unici ristoranti aperti sono lungo il porto. Ristoranti occidentali, moderni. Non ci metto piede neanche per una birra. Torno alla piazza sotto il mio albergo dove un palco enorme e musica a palla promettono una serata di bagordi.

 

 

Le bancarelle che contornano la piazza saranno il mio ultimo pasto dell’anno: un bicchiere di mais bollito, condito con burro salato fuso sarà l’antipasto e un hamburger di anatra con cipolle sarà la portata principale. Questo è quanto che riesco a racimolare ed è più che sufficiente. Un’ immancabile birra bulgara sarà la degna bevanda per arrivare a mezzanotte. Me ne concedo una speciale: scura e di un birrificio locale che vende solo bevande (birra e cocktail) qui in piazza… Il barista, dopo un po’, mi tratta con simpatia, come se fossimo amici!

Chi mi conosce sa che una piazza gremita non è il mio “ideale” di festeggiamento. 365 giorni prima augurai il Buon Anno Nuovo agli amici con un video da una piazza deserta. Allora mi trovavo nel cuore della Cappadocia, oggi sono su una costola dell’Europa dell’est. 

Poco prima dei brindisi mi allontano, ancora verso il nero pece del mare: una sdraio, una birra e il rumore delle onde.

Commenti

Post popolari in questo blog